La galleria delle mie foto in riproduzione automatica, anche a scorrimento tramite frecce da Pc o touch con telefono si apre in pochi istanti qui sotto
Un club per pochi
Nei remoti villaggi del distretto di Mon in Nagaland, al confine con il Myanmar è ancora possibile vedere un’eterogenea banda di vecchi ex guerrieri. Sono un club molto ristretto di anziani dai tatuaggi sbiaditi e con corna di animali infilati nei lobi delle orecchie, dalle espressioni a tratti orgogliose e a tratti malinconiche quelle che abbiamo incontrato per le strade di Longwa. Uno siamo andati a trovarlo a casa perché era il figlio della nostra guida. Alcuni si sono riuniti in occasione della nostra visita al villaggio di Hongpoi perché il capo divide tra di loro ciò che noi turisti paghiamo per vederli. Sembrano abbastanza gentili anche, ma i tatuaggi sul viso rivelano una verità più oscura: una volta erano i temibili cacciatori di teste della tribù Konyak. In questa ed in altre occasioni quello in Nagaland è un viaggio che trasuda il fascino del vecchio mondo. E non è fuori luogo parlando di turismo. Anche perché affascinano ancora certe storie d’altri tempi. Un patrimonio culturale destinato a perdersi nell’arco di una decina d’anni. Sono gli ultimi testimoni di questa tradizione che quando moriranno se ne andrà per sempre.
Ho effettuato il viaggio “NAGALAND Terra di festival” con Avventure nel Mondo nel mese di dicembre 2019.
Situazione Geopolitica
Il Nagaland si trova nel nord-est dell’India, confina con lo stato di Assam ad ovest ed il Myanmar ad est. Un angolo isolato dell’India incastonato tra il Myanmar e l’Himalaya.
E’ abitato da 16 tribù principali: Ao, Angami, Chang, Konyak, Lotha, Sumi, Chakhesang, Khiamniungan, Kachari, Phom, Rengma, Sangtam, Yimchungr, Kuki, zeliang e Pochury, nonché un certo numero di sotto-tribù. Le abbiamo viste esibirsi all’Hornbill Festival. Ogni tribù ha caratteristiche uniche con tradizioni, lingua, vestiti e ornamenti propri. Due cose li accomunano, l’uso dell’inglese è predominante in Nagaland ed è uno dei tre stati in India dove la popolazione è principalmente cristiana.
Fino al XIX secolo i Naga avevano pochissimi contatti con il mondo esterno e anche con il resto dell’India, e dopo secoli di guerre tribali hanno combattuto ferocemente l’occupazione britannica. Non riuscendo a sottometterli, l’impero britannico li ha lasciati ufficialmente “non amministrati” fino all’indipendenza del 1947. I Naga non dovevano fedeltà né all’India né alla Birmania. Ed ancora oggi gli abitanti dei villaggi possono andare liberamente in Myanmar senza restrizioni. Nel nostro viaggio abbiamo fatto visita al capo del villaggio di Longwa (l’angh ), la cui casa è tagliata al centro dal confine tra India e Birmania: la metà occidentale è in India, quella orientale in Myanmar.
L’angh di Longwa che ci ha accolti nella sua casa divisa dal confine tra India e Birmania.
I Naga furono uniti quando desiderosi di mantenere la loro identità dichiararono la loro indipendenza nel 1947, un giorno prima che l’India ricevesse la sua. E almeno per un certo periodo, in tribù dove ogni clan era una nazione a sé e ogni collina una repubblica, il sogno comune ha prevalso. Il sogno di una nazione indipendente che comprendesse tutti i Naga.
Ma l’India ha respinto questa loro pretesa come una “richiesta assurda” e negli anni ’60 e ’70, le conseguenti rivolte tribali furono brutalmente represse dall’esercito dell’India indipendente, che aveva appena perso una guerra contro la Cina e sapeva di aver bisogno di confini chiari e facilmente difendibili, e qui vicino c’è il confine con la Cina.
Ci furono feroci campagne dell’esercito Indiano e delle nuove leggi rigorose volte a schiacciare l’insurrezione dei Naga.
I Naga sono stati così coinvolti in quella che sarebbe diventata una delle insurrezioni più longeve del mondo, una lotta di mezzo secolo per l’indipendenza dallo stato indiano, sino al 3 agosto 2015 quando il leader di un gruppo molto importante dei rivoltosi ha firmato un pò a sorpresa un accordo di pace con il governo indiano.
Per quanto in Nagaland si desideri la pace, l’accordo non ha ispirato l’euforia. Sono tornate le divisioni e molti leader Naga si chiedono se ci si possa fidare di un accordo che è stato segretamente negoziato da una parte importante degli indipendentisti dominata però da una singola fazione ed escludendo funzionari eletti dai Naga, gruppi della società civile e altre fazioni tribali. Così c’è malcontento e ci sono ancora una mezza dozzina di fazioni che combattono, spesso brutalmente, per le tasse, il territorio e il diritto di rappresentare i Naga e la presenza militare Indiana è massiccia. Ma questa mossa inaspettata porta anche la speranza di una pace duratura in questa regione dopo decenni di conflitti armati e secoli di violenza.
Il territorio del Nagaland è per lo più montuoso, tranne la zona a valle confinante con l’Assam. Nei remoti villaggi adagiati in uno splendido scenario collinare, ricco di risorse idriche e di una lussureggiante vegetazione, a volte avvolti dalla nebbia, la maggior parte delle tradizioni sono state spazzate via in una delle più drammatiche trasformazioni sociali che abbiano avuto luogo in qualsiasi società tribale.
L’economia locale è sterile e isolata, e la situazione spinge la popolazione più povera e disperata di questi villaggi a dedicarsi al commercio di droga approfittando del corridoio senza restrizioni e controlli con il Myanmar ed a coltivare e consumare regolarmente l’oppio.
La generazione più giovane, in particolare, si sta avviando verso un futuro incerto. Molto più istruiti dei loro genitori, i giovani non hanno alcun interesse a lavorare nei campi e gli unici posti di lavoro apprezzati sono i pochi posti di lavoro nell’amministrazione Indiana.
Tutto questo per far capire conformazione del territorio, tessuto sociale, problemi legati all’economia e alla politica, l’aria che abbiamo respirato una volta entrati in Nagaland attraverso un vecchio checkpoint che ricordava tempi passati, per strade spesso sterrate ed a volte piuttosto accidentate, nel 2019 l’anno del nostro viaggio.
La conversione al Cristianesimo
Come ho già detto fino al XIX secolo i Konyak avevano avuto pochissimi contatti con il mondo esterno e con il resto dell’India, e dopo secoli di guerre intertribali iniziarono a combattere ferocemente l’occupazione britannica. La sconfitta pose le basi per l’arrivo dei missionari Cristiani che iniziarono a fondare scuole ed a predicare il cristianesimo in Nagaland.
L’arrivo del Cristianesimo ebbe un grande impatto sulle vecchie tradizioni dei Konyak. Nel loro zelo di “civilizzare”, i missionari scoraggiarono duramente le antiche usanze e tradizioni delle tribù, etichettandole come pagane. Come al solito questo impatto fu positivo quando pratiche come il taglio della testa dei nemici e il consueto rituale del tatuaggio sul viso furono gradualmente consegnati alla storia. Meno positivo se si considera che così facendo questa popolazione con l’ultima generazione dei tagliatori di teste perde canzoni, danze, poesie e racconti popolari, il tutto tramandato oralmente, e che gli stessi tatuaggi, che facevano parte della cultura Konyak e che ora sono così di moda anche da noi, avevano significati e funzioni specifiche. Ogni modello di tatuaggio infatti raffigurava lo stato o il ciclo delle vita dei Konyak, i diversi tatuaggi indossati da una persona trasmettevano il suo status, posizione, fase della vita e risultati nella società Konyak.
Bisogna dire che gran parte del merito della fine dei conflitti tribali e quindi di un sostanziale cambiamento nella vita di perenne trepidazione che nei secoli passati si era instaurato nella regione va ai missionari cristiani che hanno predicato la non violenza e la coesistenza pacifica nel corso dei decenni.
Ma con l’arrivo dei missionari Battisti scomparvero le credenze animiste e lo sciamanesimo e la cultura dei Konyak fu lacerata da un’acuta crisi di identità. I preziosi teschi che i Konyak credevano ospitassero la forza dell’anima del nemico ucciso e che fossero propiziatori di prosperità e fertilità furono bruciati e le reliquie tradizionali furono distrutte.
Così come furono distrutte le Morung, le lunghe case dove si formavano i giovani, ed al loro posto si costruirono le Chiese Battiste che ora sono un punto di riferimento importante di ogni insediamento. Oltre il 90 percento della popolazione si è convertito.
Le caratteristiche uniche della cultura Konyak
L’India nord-orientale ospita molte popolazioni interessanti e culture tribali originali, ma la più affascinante è la tribù dei Konyak. Si ritiene siano migrati in Nagaland dalla Mongolia o dalla Cina meridionale e sono conosciuti soprattutto per essere stati feroci guerrieri con la famigerata tradizione di tagliare le teste degli avversari e di riportarle come trofei da esporre orgogliosamente davanti alla Morung (la loro casa comune). In passato i conflitti territoriali tra tribù rivali e villaggi erano risolti attraverso la guerra e i Konyak proprio per questa feroce tradizione erano i più temuti, avevano un cestino appositamente progettato per questa pratica che portarono nelle battaglie.
La caccia alla testa era al centro del tessuto di una società Konyak. Il passaggio di un giovane uomo all’età adulta ed il diventare idoneo a sposare una donna di alto livello non poteva avvenire senza aver completato il rituale della caccia alla testa almeno una volta. I Konyak ritenevano che la pratica fosse anche essenziale per mantenere la fertilità delle colture e il benessere della comunità.
Nel perenne stato di guerre intertribali i giovani guerrieri Konyak avevano molte occasioni per distinguersi con la forza e l’ardimento e di meritare quindi il tatuaggio sul petto che era un onore ed un privilegio sociale elevato. Solo i guerrieri migliori e più coraggiosi avevano tatuaggi sul petto. Solo quelli che portavano una testa dai villaggi nemici avevano il privilegio e l’onore di tatuare il viso e indossare una collana di bronzo (yanra), che rappresentava il numero di teste tagliate oltre ovviamente ad aver guadagnato parte del potere e dell’anima del nemico ucciso.
L’elaborato processo della tatuazione era eseguito solo dalla moglie del capo. I tatuaggi venivano fatti a mano utilizzando canne di rattan affilate e spine degli alberi d’arancia o di limone per fare gli aghi. L’inchiostro veniva fatto mescolando la resina del cedro rosso e la birra di riso.
Era un giorno di festa per la tribù il giorno in cui un guerriero veniva tatuato. Per l’occasione veniva preparata molta birra di riso e un maiale o una mucca venivano macellati.
La carica di capo della tribù era ed è ereditario, veniva e viene chiamato “Angh” e curava e cura l’amministrazione delle risorse e della giustizia del villaggio. Ho parlato della figura dell’Angh anche al presente perché nella visita al capo di Longwa ci è stato detto che ancora oggi nel villaggio la sua parola è legge. Qui ancora oggi non contano le leggi statali.
Hanno ereditato una forte identità tribale ed i Konyak di oggi sono orgogliosi della loro tradizione guerriera come lo erano le generazioni precedenti.
Le case tradizionali Konyak sono fatte di bambù. Sono spaziose con divisori separati per cucinare, mangiare, dormire e per i magazzini.
Il viaggio
Quindi un viaggio in una mescolanza di culture e lingue, in una regione per secoli dimenticata dal mondo e dagli stessi indiani. In un territorio in passato difficilmente raggiungile, fatto di colline avvolte dalla nebbia e ripide alture e villaggi ancora oggi collegati da strade spesso sterrate ed a volte piuttosto accidentate. Un viaggio affascinante perché trasporta il viaggiatore nello spazio e nel tempo.
L’opera di Phejin Konyak
Phejin Konyak è la pronipote di un cacciatore di teste Konyak. Mi sono imbattuto nel suo lavoro durante le ricerche fatte per questo articolo.
Ha documentato nel suo libro, The Konyaks Last of the Tattooed Headhunters, pubblicato da Roli Books la cultura e le tradizioni dei Konyak.
Per secoli, la tribù ha trasmesso le sue storie oralmente alle giovani generazioni, ma man mano che i suoi membri più anziani morivano, Phejin temeva che la loro storia fosse a rischio di perdersi per sempre.
Così, per tre anni, ha viaggiato di villaggio in villaggio nel distretto di Mon in Nagaland, parlando con gli anziani della tribù Konyak e registrando le loro storie personali, canzoni, poesie e racconti popolari. Con l’aiuto del fotografo Peter Bos, ha anche documentato i loro tatuaggi sul viso e sul corpo, ognuno dei quali ha un significato: la tribù, il clan e lo status nella società di ogni membro.
Si è presa la responsabilità di documentare e tramandare la storia della sua tribù
“La nostra vecchia cultura sta morendo ora. Molto di più è stato perso di quanto fosse necessario.”
The Konyaks: Last of the Tattooed Headhunters è il libro di Phejin Konyak con le foto di Peter Bos edito da Roli Books.
Ho pubblicato altri articoli sul viaggio in Nagaland: Hornbill Festival, il Festival dei Festival, Calcutta, il Mallick Ghat Flower Market
Ho pubblicato altri articoli su viaggi in India: Orissa: i tatuaggi delle donne Kondh, Varanasi, il cuore spirituale dell’India, India, Orissa, Chandrabhaga, India, tra spiritualità e folklore,
Rispondi