Cambogia, Angkor Wat
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Cambogia, Angkor Wat

Benvenuti, nell’articolo qui sotto vi parlo della visita al sito archeologico di Angkor Wat in Cambogia avvenuta nel corso del viaggio “Lungo il Mekong” effettuato con Avventure nel Mondo nel gennaio 2014.

Cambogia, Angkor Wat la città perduta e ritrovata

Cambogia, Angkor Wat La città perduta e ritrovata
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Cambogia, Angkor Wat

Pochi siti al mondo possono vantare il fascino di Angkor, capitale e maggior centro politico e religioso del regno Khmer, il capolavoro avvolto dal mistero del suo abbandono situato in Cambogia.

L’ Asia è ancora un continente che fa del mistero la sua essenza ed il caso di Angkor, un luogo dove inspiegabilmente con il declino dei regno Khmer la vita si è fermata e tutto è stato avvolto e nascosto per secoli da una vegetazione lussureggiante, stimola la fantasia.

Forse per queste ragioni il complesso archeologico di Angkor si trova spesso al vertice dei luoghi storici più apprezzati dai viaggiatori, oltre che per la maestosità dei templi qui la storia si combina con la leggenda.

Cambogia, Angkor Wat La città perduta e ritrovata
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Cambogia, Angkor Wat

Con lo spostamento della capitale a Phnom Penh per quattro secoli Angkor fu dimenticata e la natura la avvolse, le radici degli alberi si insinuarono nell’arenaria usata per i templi diventandone in molti casi parte indissolubile in una sorta di fusione tra giungla e architettura.

Le prime notizie su un’incredibile città di pietra celata nella giungla giunsero in Occidente verso la fine del XVI secolo ad opera dei portoghesi in fuga da Sumatra occupata dagli olandesi. Ma la città e i suoi templi restarono in buona parte nascosti dalla vegetazione fino alla seconda metà del XIX secolo, quando i resoconti di esplorazioni in maggioranza francesi, ma anche inglesi e statunitensi, fecero nascere presso il grande pubblico il mito della “città perduta nella giungla”.

Grazie alla sua fama, Angkor è stata oggetto di numerosi progetti internazionali di conservazione e restauro a partire dall’epoca coloniale, spesso interrotti nel novecento a causa della travagliata storia cambogiana. Dalla metà degli anni novanta Angkor è stata anche oggetto di ricerche eseguite con tecnologie moderne come la mappatura ad alta risoluzione della regione a mezzo radar ed il rilevamento laser che hanno permesso l’identificazione di strutture non visibili da terra e la formulazione di ipotesi più aggiornate circa le dimensioni e la complessità del sito.

Il parco archeologico di Angkor, istituito per decreto reale nel 1994, si estende su 400 km², la maggioranza dei templi più noti e visitati è concentrata in un’area di circa 15 km per 6,5 km e Angkor Wat è il primo dei templi che si incontra dopo averne superato l’ingresso e anche il più straordinario.

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Dopo aver atteso l’alba da un’altura è arrivato finalmente il momento di entrare ad Angkor Wat tramite la strada lastricata sopraelevata che supera il fossato e che è posteriore di almeno un secolo della costruzione principale, è lunga 350 metri ed è ornata da balaustre nāga.

Cambogia, Angkor Wat La città perduta e ritrovata
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Angkor Wat ha la forma di un rettangolo, lungo circa 1,5 km da ovest a est e 1,3 km da nord a sud ed un fossato ne circonda completamente il muro perimetrale.

Il tempio è composto da cortili e gallerie concentriche decorate da incredibili bassorilievi raffiguranti scene mitologiche ed eventi storici e da cinque torri centrali.

Di particolare rilievo sono le opere idrauliche realizzate dai Khmer per l’approvvigionamento idrico e l’irrigazione. Suggestivo il riflesso del tempio nel bacino d’acqua antistante.

Cambogia, Angkor Wat La città perduta e ritrovata
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La costruzione del tempio risale alla prima metà del XII secolo e fu dedicato a Vishnu.

Le maggior parte dei templi della civiltà Khmer furono realizzati con uno stile architettonico basato sulla cosmologia dell’Induismo, caratterizzato dal “ tempio-montagna”.

L’ampio canale esterno che circonda il tempio è la rappresentazione primordiale dell’oceano cosmico (Oceano di Latte).

Le mura perimetrali rappresentano le montagne che circondano il Monte Meru, la montagna sacra della mitologia induista e buddhista.

Lungo le mura, in corrispondenza dei punti cardinali, si trovano le porte di accesso al tempio, attraverso le quali si accede al centro geometrico del complesso (considerato il centro dell’universo).

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La parte centrale del complesso è caratterizzata da una struttura piramidale, realizzata a livelli concentrici.

I livelli della piramide, generalmente cinque, nella tradizione Induista servivano per differenziare le caste sociali e religiose presenti nel tempio.

I bramini, considerati i rappresentanti degli Dei, occupavano il livello più alto.

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Sulla sommità della piramide sono presenti cinque torrioni disposti, quattro posti ai vertici di un quadrato, il più grande situato nel centro geometrico con il santuario.

Quest’ultimo rappresenta il Monte Meru, la montagna sacra situata al centro dell’universo, dimora delle principali divinità della mitologia Induista.

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La galleria più esterna ospita dal lato interno i famosi bassorilievi, che con un’estensione di 600 metri di lunghezza e 2 di altezza costituiscono il gruppo scultoreo continuo più lungo al mondo.

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Il tramonto, quasi a voler rivaleggiare con l’alba sui templi che ci aveva entusiasmato di prima mattina, ha acceso i suoi colori creando un effetto magico su Angkor Wat. Dopo la confusione creata dai tantissimi turisti, attorno a noi il silenzio ha cominciato a scendere insieme al sole ed il nostro obbiettivo a questo punto è stato quello di trovare una posizione ideale per non perdere l’attimo, quello dei colori che trasformano il tramonto in una vera e propria emozione.

Ma avviandoci all’uscita sono state parecchie le soste dove i contorni del tempio e del parco si sono fatti ad ogni minuto sempre più distinti con i colori che spaziavano dall’arancione intenso ad un caldo rosso, per lasciare poi, dopo il calar del sole, un alone azzurrato e rosa, l’ultima immagine di Angkor Wat.

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Qui sotto l’articolo pubblicato su Adobe Creative Cloud Express

Cambogia, Angkor Wat

Ho pubblicato un altro articolo sul viaggio LUNGO IL MEKONG del gennaio 2014: Etnia Kayan, le donne giraffa

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